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venerdì 29 marzo 2024

Il dono delle lacrime per chi è lontano

Andrea Tornielli
Il dono delle lacrime per chi è lontano

Le parole di Francesco nella Messa del Crisma e la testimonianza dei cristiani


«Il Signore non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano». Papa Francesco dà inizio ai riti della Settimana Santa presiedendo la Messa del Crisma nella Basilica di San Pietro e pronuncia un’omelia sulle lacrime. A partire da quel “pianse amaramente” dell’apostolo Pietro, che dopo aver rinnegato per tre volte il Maestro nel cortile della casa dei sommi sacerdoti, incrocia per qualche istante lo sguardo misericordioso di Gesù in catene e di fronte all’abbraccio del perdono riconosce il suo peccato. Francesco parla ai fratelli sacerdoti, nella celebrazione dedicata in modo speciale a loro. Ma le sue parole possono allargarsi e avvolgere tutti noi.

Di fronte alle situazioni della vita, alle posizioni di chi non crede, di chi polemizza con noi, ma anche di fronte alle diverse sensibilità dei fratelli nella fede, quante volte dal nostro cuore sgorgano giudizi sprezzanti, ultimativi. Talvolta giudizi di scherno, non così dissimili da quelli fatti risuonare ai piedi della croce. Basta guardare innanzitutto “dentro casa” per rendersi conto di questo rischio. Basta guadare anche soltanto distrattamente il mondo dei social media e dei blog che si dicono cristiani per rendersi conto di quale contro-testimonianza evangelica passi attraverso l’atteggiamento di chi soffia sulla divisione, sulla contrapposizione, sul ridicolizzare chi ha come unica colpa quella di pensarla diversamente. Allargando lo sguardo, come non pensare all’oceano di odio che si scatena e si alimenta con le guerre, il terrorismo e la violenza che continuano a mietere vittime innocenti.

I cristiani sono seguaci di un Dio fatto Uomo che ha chiesto di amare anche i nemici. Un Dio che non ha bisogno dei nostri pregiudizi e giudizi sprezzanti sugli altri, ma che si manifesta abbracciandoci quando siamo capaci di piangere e di amare, quando ci lasciamo trafiggere alle sofferenza degli altri uscendo dalle bolle dell’indifferenza, quando amiamo chi è lontano e preghiamo per lui, quando – invece di recriminare - versiamo lacrime per chi è fuori da quello che noi crediamo essere il recinto dei giusti, dei salvati, dei bravi, di coloro che sono “a posto”, di quelli che credono di sapere già tutto e perciò non attendono più nulla.

«Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo – ha detto ancora Francesco ai sacerdoti - a contatto con un cuore compunto non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza nella misericordia. Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie». Alla vigilia del riaccadere del sacrificio del Golgota, i cristiani, peccatori perdonati, imparano dalle lacrime di Pietro a riconoscersi tali. E aprendosi all’amore gratuito e incondizionato del Crocifisso imparano a volersi bene e ad essere così testimoni di misericordia in un mondo che non perdona; testimoni di unità in un mondo di divisione; testimoni di pace in un mondo dove sembrano prevalere la violenza e la guerra. Imparano ad essere testimoni di una speranza che non è fondata sulle loro capacità e sulla loro bravura, ma sulla certezza di ciò che avvenne nella notte di Pasqua in quel sepolcro di Gerusalemme.
(fonte: Editoriale di Vatican News 27/03/2024)

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giovedì 28 marzo 2024

Papa Francesco Giovedì Santo SANTA MESSA DEL CRISMA 28/03/2024 - Promesse che si rinnovano di fronte al mistero dell’Amore - Omelia (cronaca, foto, testo e video)

SANTA MESSA DEL CRISMA

Basilica di San Pietro

Giovedì Santo, 28 marzo 2024

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Promesse che si rinnovano
di fronte
al mistero dell’Amore


Come la goccia scava la pietra, così «le lacrime lentamente scavano i cuori induriti»: è il miracolo, «della buona tristezza che conduce alla dolcezza». Un invito al pentimento, alla conversione, al lasciarsi perdonare da Dio, quello rivolto da Papa Francesco ai quattromila fedeli presenti, tra i quali oltre millecinquecento sacerdoti, durante la messa del Crisma presieduta nella basilica di San Pietro la mattina del Giovedì santo, 28 marzo. Nel giorno in cui la Chiesa fa memoria dell’Eucarestia e dell’amore fraterno, ma anche dell’agonia del Getsemani e dell’inizio della Passione che condurrà alla Pasqua di risurrezione, il ricordo è dedicato ai presbiteri. Durante il rito, infatti, sono state rinnovate le promesse sacerdotali e benedetti gli oli sacri.

La celebrazione all’altare della Confessione è stata preceduta e preparata, poco prima delle 9, dal canto dell’Ora terza, al termine del quale una monizione ha introdotto l’ingresso della processione, accompagnata dalle note di Fecisti nos regnum.

La messa ha avuto inizio alle 9.30. La liturgia della Parola è stata proclamata in italiano. All’omelia del Papa — che ha preso posto sotto il pilone di Sant’Elena — è seguito il rinnovo delle promesse. A tutti i presenti Francesco ha chiesto di pregare per i presbiteri e anche per lui stesso, «perché sia fedele al servizio apostolico, affidato alla mia umile persona, e tra voi io diventi ogni giorno di più immagine viva e autentica di Cristo sacerdote, buon pastore, maestro e servo di tutti». Il Pontefice ha poi benedetto l’olio degli infermi, l’olio dei catecumeni, e ha consacrato il crisma, alitando sull’ampolla e pronunciando l’orazione. Oli e crisma sono stati presentati dai diaconi che li hanno portati davanti al Pontefice dalla Cappella della Pietà in tre carrelli con due anfore ciascuno.

«Effondi la tua santa benedizione perché quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore» è stata la preghiera per la benedizione dell’olio degli infermi. «Concedi energia e vigore ai catecumeni che ne riceveranno l’unzione, perché illuminati dalla tua sapienza, comprendano più profondamente il Vangelo di Cristo; sostenuti dalla tua potenza, assumano con generosità gli impegni della vita cristiana; fatti degni dell’adozione a figli, gustino la gioia di rinascere e vivere nella tua Chiesa» è stata poi quella per la benedizione dell’olio dei catecumeni.

Al termine della messa, dopo la benedizione, il Papa ha ricordato ai vescovi e ai sacerdoti che il crisma e gli oli benedetti «sono ora affidati perché, attraverso il vostro ministero, la grazia divina fluisca nelle anime, apportatrice di forza e di vita. Rispettate, venerate e conservate con cura particolare questi oli, segni della grazia di Dio: le persone, i luoghi e le cose, che saranno da essi segnati, possano risplendere della stessa santità di Dio». Il canto dell’antifona Ave Regina caelorum ha accompagnato la conclusione del rito.

Hanno concelebrato trentacinque cardinali, tra i quali il segretario di Stato, Pietro Parolin, trentaquattro tra arcivescovi e vescovi e gli oltre millecinquecento sacerdoti presenti. Per la preghiera eucaristica sono saliti all’altare i cardinali Angelo De Donatis, vicario generale per la diocesi di Roma, Giovanni Battista Re, decano del Collegio cardinalizio, Leonardo Sandri, vice decano, Marc Ouellet, prefetto emerito del Dicastero per i vescovi, e il vescovo Baldassare Reina, vicegerente di Roma.

Tra i concelebranti, gli arcivescovi Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato per gli Affari generali, Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali, e Luciano Russo, segretario della Sezione per il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; e i monsignori Roberto Campisi, assessore, e Javier Domingo Fernández González, capo del Protocollo.

Il servizio dei ministranti è stato svolto dagli alunni dei seminari della diocesi di Roma. I canti sono stati eseguiti dal coro della Cappella Sistina.

A tutti i sacerdoti presenti è stato donato il volume Francesco - Sul discernimento.
(fonte: L'Osservatore Romano 28/03/2024)

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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


«Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui» (Lc 4,20). Colpisce sempre questo passaggio del Vangelo, che porta a visualizzare la scena: a immaginare quel momento di silenzio in cui tutti gli sguardi erano concentrati su Gesù, in un misto di meraviglia e di diffidenza. Sappiamo tuttavia come andò a finire: dopo che Gesù ebbe smascherato le false aspettative dei suoi compaesani, essi «si riempirono di sdegno» (Lc 4,28), uscirono e lo cacciarono fuori della città. I loro occhi avevano fissato Gesù, ma i loro cuori non erano disposti a cambiare sulla sua parola. Così persero l’occasione della vita.

Ma nella sera di oggi, Giovedì santo, avviene un incrocio di sguardi alternativo. Protagonista è il primo Pastore della nostra Chiesa, Pietro. Pure lui all’inizio non prestò fiducia alla parola “smascherante” che il Signore gli aveva rivolto: «Tre volte mi rinnegherai» (Mc 14,30). Così “perse di vista” Gesù e lo rinnegò al canto del gallo. Ma poi, quando «il Signore si voltò e fissò lo sguardo» su di lui, questi «si ricordò della parola che il Signore gli aveva detto […] E uscito fuori, pianse amaramente» (Lc 22,61-62). I suoi occhi furono inondati di lacrime che, sgorgate da un cuore ferito, lo liberarono da convinzioni e giustificazioni fasulle. Quel pianto amaro gli cambiò la vita.

Le parole e i gesti di Gesù per anni non avevano smosso Pietro dalle sue attese, simili a quelle della gente di Nazaret: anche lui aspettava un Messia politico e potente, forte e risolutore, e di fronte allo scandalo di un Gesù debole, arrestato senza opporre resistenza, dichiarò: «Non lo conosco!» (Lc 22,57). Ed è vero, non lo conosceva: cominciò a conoscerlo quando, nel buio del rinnegamento, fece spazio alle lacrime della vergogna, alle lacrime del pentimento. E lo conoscerà davvero quando, «addolorato che per la terza volta gli domandasse: “Mi vuoi bene?”», si lascerà pienamente attraversare dallo sguardo di Gesù. Allora dal «non lo conosco» passerà a dire: «Signore, tu conosci tutto» (Gv 21,17).

Cari fratelli sacerdoti, la guarigione del cuore di Pietro, la guarigione dell’Apostolo, la guarigione del Pastore avvengono quando, feriti e pentiti, ci si lascia perdonare da Gesù: passano attraverso le lacrime, il pianto amaro, il dolore che consente di riscoprire l’amore. Per questo ho sentito di condividere con voi, qualche pensiero su un aspetto della vita spirituale piuttosto tralasciato, ma essenziale; lo ripropongo oggi con una parola forse desueta, ma che credo ci faccia bene riscoprire: la compunzione.

La parola evoca il pungere: la compunzione è “una puntura sul cuore”, una trafittura che lo ferisce, facendo sgorgare le lacrime del pentimento. Un episodio, che riguarda ancora San Pietro, ci aiuta. Egli, trafitto dallo sguardo e dalle parole di Gesù risorto, nel giorno di Pentecoste, purificato e infuocato dallo Spirito, proclamò agli abitanti di Gerusalemme: «Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» (cfr At 2,36). Gli ascoltatori avvertirono insieme il male che avevano compiuto e la salvezza che il Signore elargiva loro, e «all’udire queste cose – dice il testo – si sentirono trafiggere il cuore» (At 2,37).

Ecco la compunzione: non un senso di colpa che butta a terra, non una scrupolosità che paralizza, ma è una puntura benefica che brucia dentro e guarisce, perché il cuore, quando vede il proprio male e si riconosce peccatore, si apre, accoglie l’azione dello Spirito Santo, acqua viva che lo smuove facendo scorrere le lacrime sul volto. Chi getta la maschera e si lascia guardare da Dio nel cuore riceve il dono di queste lacrime, le acque più sante dopo quelle del Battesimo [1]. Cari fratelli sacerdoti, oggi vi auguro questo.

Occorre però comprendere bene che cosa significhi piangere su noi stessi. Non significa piangerci addosso, come spesso siamo tentati di fare. Ciò avviene, ad esempio, quando siamo delusi o preoccupati per le nostre attese andate a vuoto, per la mancanza di comprensione da parte degli altri, magari dei confratelli e dei superiori. Oppure quando, per uno strano e insano piacere dell’animo, amiamo rimestare nei torti ricevuti per auto-commiserarci, pensando di non aver ricevuto ciò che meritavamo e immaginando che il futuro non potrà che riservarci continue sorprese negative. Questa – ci insegna San Paolo – è la tristezza secondo il mondo, opposta a quella tristezza secondo Dio [2].

Piangere su noi stessi, invece, è pentirci seriamente di aver rattristato Dio col peccato; è riconoscere di essere sempre in debito e mai in credito; è ammettere di aver smarrito la via della santità, non avendo tenuto fede all’amore di Colui che ha dato la vita per me [3]. È guardarmi dentro e dolermi della mia ingratitudine e della mia incostanza; è meditare con tristezza le mie doppiezze e falsità; è scendere nei meandri della mia ipocrisia, l’ipocrisia clericale, cari fratelli, quella ipocrisia nella quale scivoliamo tanto, tanto…State attenti alla ipocrisia clericale. Per poi, rialzare lo sguardo al Crocifisso e lasciarmi commuovere dal suo amore che sempre perdona e risolleva, che non lascia mai deluse le attese di chi confida in Lui. Così le lacrime continuano a scendere e purificano il cuore.

La compunzione, infatti, richiede fatica ma restituisce pace; non provoca angoscia, ma alleggerisce l’anima dai pesi, perché agisce nella ferita del peccato, disponendoci a ricevere proprio lì la carezza del Signore che trasforma il cuore quando è «contrito e affranto» (Sal 51,19), ammorbidito dalle lacrime. La compunzione è dunque l’antidoto alla sclerocardia, quella durezza del cuore tanto denunciata da Gesù (cfr Mc 3,5; 10,5). Il cuore, infatti, senza pentimento e pianto, si irrigidisce: dapprima diventa abitudinario, poi insofferente per i problemi e indifferente alle persone, quindi freddo e quasi impassibile, come avvolto da una scorza infrangibile, e infine cuore di pietra. Ma, come la goccia scava la pietra, così le lacrime lentamente scavano i cuori induriti. Si assiste così al miracolo della tristezza, della buona tristezza che conduce alla dolcezza.

Capiamo allora perché i maestri spirituali insistono sulla compunzione. San Benedetto invita ogni giorno a «confessare a Dio con lacrime e gemiti le proprie colpe passate» [4], e afferma che pregando «non saremo esauditi per le nostre parole, ma per la purezza del cuore e per la compunzione che strappa le lacrime» [5]. E se per San Giovanni Crisostomo una sola lacrima spegne un braciere di colpe [6], l’ Imitazione di Cristo raccomanda: «Abbandonati alla compunzione del cuore», in quanto «per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima» [7]. La compunzione è il rimedio, perché ci riporta alla verità di noi stessi, così che la profondità del nostro essere peccatori riveli la realtà infinitamente più grande del nostro essere perdonati, la gioia di essere perdonato. Non stupisce pertanto l’affermazione di Isacco di Ninive: «Colui che dimentica la misura dei propri peccati, dimentica la misura della grazia di Dio nei suoi confronti» [8].

È vero, cari fratelli e sorelle, ogni nostra rinascita interiore scaturisce sempre dall’incontro tra la nostra miseria e la sua misericordia - si incontrano la nostra miseria e la sua misericordia -, ogni rinascita interiore passa attraverso la nostra povertà di spirito che permette allo Spirito Santo di arricchirci. Si comprendono in questa luce le forti affermazioni di tanti maestri spirituali. Pensiamo a quelle, paradossali, ancora di Sant’Isacco: «Colui che conosce i propri peccati […] è più grande di colui che con la preghiera risuscita i morti. Colui che piange un’ora su se stesso è più grande di chi serve il mondo intero con la contemplazione […]. Colui al quale è dato di conoscere se stesso è più grande di colui a cui è dato di vedere gli angeli» [9].

Fratelli, veniamo a noi, sacerdoti, e chiediamoci quanto la compunzione e le lacrime siano presenti nel nostro esame di coscienza e nella nostra preghiera. Domandiamoci se, col passare degli anni, le lacrime aumentano. Sotto questo aspetto è bene che avvenga il contrario rispetto alla vita biologica, dove, quando si cresce, si piange meno di quando si è bambini. Nella vita spirituale, invece, dove conta diventare bambini (cfr Mt 18,3), chi non piange regredisce, invecchia dentro, mentre chi raggiunge una preghiera più semplice e intima, fatta di adorazione e commozione davanti a Dio, quello matura. Si lega sempre meno a sé stesso e più a Cristo, e diventa povero in spirito. In tal modo si sente più vicino ai poveri, i prediletti di Dio, che prima – come scrive San Francesco nel suo testamento – teneva lontani in quanto era nei peccati, ma la cui compagnia, poi, da amara diventa dolce [10]. E così chi si compunge nel cuore si sente sempre più fratello di tutti i peccatori del mondo, si sente più fratello, senza parvenza di superiorità o asprezza di giudizio, ma sempre con desiderio di amare e riparare.

E questa, fratelli cari, è un’altra caratteristica della compunzione: la solidarietà. Un cuore docile, affrancato dallo spirito delle Beatitudini, diventa naturalmente incline a fare compunzione per gli altri: anziché adirarsi e scandalizzarsi per il male compiuto dai fratelli, piange per i loro peccati. Non si scandalizza. Avviene una sorta di ribaltamento, dove la tendenza naturale a essere indulgenti con sé stessi e inflessibili con gli altri si capovolge e, per grazia di Dio, si diventa fermi con sé stessi e misericordiosi con gli altri. E il Signore cerca, specialmente tra chi è consacrato a Lui, chi pianga i peccati della Chiesa e del mondo, facendosi strumento di intercessione per tutti. Quanti testimoni eroici nella Chiesa ci indicano questa via! Pensiamo ai monaci del deserto, in Oriente e in Occidente; all’intercessione continua, fatta di gemiti e lacrime, di San Gregorio di Narek; all’offerta francescana per l’Amore non amato; a sacerdoti, come il Curato d’Ars, che vivevano di penitenza per la salvezza altrui. Cari fratelli, non è poesia questo, questo è sacerdozio!

Cari fratelli, a noi, suoi Pastori, il Signore non chiede giudizi sprezzanti su chi non crede, ma amore e lacrime per chi è lontano. Le situazioni difficili che vediamo e viviamo, la mancanza di fede, le sofferenze che tocchiamo, a contatto con un cuore compunto non suscitano la risolutezza nella polemica, ma la perseveranza nella misericordia. Quanto abbiamo bisogno di essere liberi da durezze e recriminazioni, da egoismi e ambizioni, da rigidità e insoddisfazioni, per affidarci e affidare a Dio, trovando in Lui una pace che salva da ogni tempesta! Adoriamo, intercediamo e piangiamo per gli altri: permetteremo al Signore di compiere meraviglie. E non temiamo: Lui ci sorprenderà!

Il nostro ministero ne gioverà. Oggi, in una società secolare, corriamo il rischio di essere molto attivi e al tempo stesso di sentirci impotenti, col risultato di perdere l’entusiasmo ed essere tentati di “tirare i remi in barca”, di chiuderci nella lamentela e far prevalere la grandezza dei problemi sulla grandezza di Dio. Se ciò avviene, diventiamo amari e pungenti sempre sparlando, sempre trovando qualche occasione per lamentarsi. Ma se invece l’amarezza e la compunzione si rivolgono, anziché al mondo, al proprio cuore, il Signore non manca di visitarci e rialzarci. Come esorta a fare l’ Imitazione di Cristo: «Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, rattristare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente sulla via del bene» [11].

Da ultimo, vorrei sottolineare un aspetto essenziale: la compunzione non è tanto frutto del nostro esercizio, ma è una grazia e come tale va chiesta nella preghiera. Il pentimento è dono di Dio, è frutto dell’azione dello Spirito Santo. Per facilitarne la crescita, condivido due piccoli consigli. Il primo è quello di non guardare la vita e la chiamata in una prospettiva di efficienza e di immediatezza, legata solo all’oggi e alle sue urgenze e aspettative, ma nell’insieme del passato e del futuro. Del passato, ricordando la fedeltà di Dio - Dio è fedele - , facendo memoria del suo perdono, ancorandoci al suo amore; e del futuro, pensando alla meta eterna a cui siamo chiamati, al fine ultimo della nostra esistenza. Allargare gli orizzonti, cari fratelli, allargare gli orizzonti aiuta a dilatare il cuore, stimola a rientrare in sé stessi con il Signore e a vivere la compunzione. Un secondo consiglio, che viene di conseguenza: riscopriamo la necessità di dedicarci a una preghiera che non sia dovuta e funzionale, ma gratuita, calma e prolungata. Fratello, com’è la tua preghiera? Torniamo all’adorazione - ti sei dimenticato di adorare? - e torniamo alla preghiera del cuore. Ripetiamo: Gesù, Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore. Sentiamo la grandezza di Dio nella nostra bassezza di peccatori, per guardarci dentro e lasciarci attraversare dal suo sguardo. Riscopriremo la sapienza della Santa Madre Chiesa, che ci introduce alla preghiera sempre con l’invocazione del povero che grida: O Dio, vieni a salvarmi.

Carissimi, torniamo infine a San Pietro e alle sue lacrime. L’altare posto sopra la sua tomba non può che farci pensare a quante volte noi, che lì ogni giorno diciamo: «Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi», quante volte deludiamo e rattristiamo Colui che ci ama al punto da fare delle nostre mani gli strumenti della sua presenza. È bene pertanto fare nostre quelle parole con cui ci prepariamo sottovoce: «Umili e pentiti accoglici, o Signore», e ancora: «Lavami, o Signore, dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro». In tutto, fratelli, ci consola la certezza consegnataci oggi dalla Parola: il Signore, consacrato con l’unzione (cfr Lc 4,18), è venuto «a fasciare le piaghe dei cuori spezzati» (Is 61,1). Dunque, se il cuore si spezza potrà essere fasciato e guarito da Gesù. Grazie, cari sacerdoti, grazie per il vostro cuore aperto e docile; grazie per le vostre fatiche e grazie per i vostri pianti; grazie perché portate la meraviglia della misericordia – perdonate sempre, siate misericordiosi – e portate questa misericordia, portate Dio ai fratelli e alle sorelle del nostro tempo. Cari sacerdoti, Il Signore vi consoli, vi confermi e vi ricompensi. Grazie.
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[1] «La Chiesa ha l’acqua e le lacrime: l’acqua del Battesimo, le lacrime della Penitenza» (S. Ambrogio, Epistula extra collectionem, I, 12).
[2] «La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza, mentre la tristezza del mondo produce la morte» ( 2 Cor 7,10).
[3] Cfr S. Giovanni Crisostomo, De compunctione, I, 10.
[4] Regola, IV,57.
[5] Ivi, XX,3.
[6] Cfr De paenitentia, VII,5.
[7] Cap. XXI.
[8] Discorsi ascetici (III Coll.), XII.
[9] Discorsi ascetici (I Coll.), XXXIV (vers. greca).
[10] Cfr FF 110.
[11] Cap. XXI.

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Mons. Giovanni D’Ercole: Nei giorni del Triduo Santo riviviamo lo scontro apocalittico tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre

Mons. Giovanni D’Ercole
vescovo emerito di Ascoli Piceno

Nei giorni del Triduo Santo riviviamo
lo scontro apocalittico tra la vita e la morte,
tra la luce e le tenebre 



1. Giovedì Santo, Venerdì Santo Sabato Santo: ecco giorni profondamente permeati dal ricordo della passione e della morte di Cristo introdotti già dalla liturgia del Mercoledì Santo che ci conduce nel Cenacolo dove gli evangelisti riportano il breve dialogo che avvenne tra Gesù e Giuda. “Rabbi, sono forse io?”, domanda il traditore al divino Maestro, che aveva preannunciato: “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”. Risponde: “Tu l’hai detto” (cfr Mt 26,14-25). E il quarto vangelo chiude questo racconto che evoca il tradimento di Giuda con una lapidaria osservazione: “Ed era notte” (Gv 13,30). Quando Giuda abbandona il Cenacolo con il cuore assediato dal buio della confusione interiore si trova in una profonda notte con l‘animo deciso ormai al tradimento del Maestro. Era notte pure nel cuore degli altri apostoli smarriti e confusi perché non capivano cosa stava succedendo. Era notte inoltre nel cuore di Cristo che ormai vedeva avvicinarsi l’ora decisiva della sua missione e sapeva di dover compiere il sacrificio della sua vita fino all’ultima goccia di sangue.

Nei giorni del Triduo Santo riviviamo lo scontro apocalittico tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre, tra la l’odio e l’amore. Tutto questo non è storia del passato, bensì dramma molto attuale che coinvolge ognuno di noi, chiamati tutti a decidere quale destino dare alla nostra esistenza. Una scelta che comporta essere consapevoli della “notte” che abita il nostro intimo, a causa dei nostri peccati. Il Mistero pasquale e cioè la Passione, la Morte e la Risurrezione del Signore si rinnova sino alla fine del mondo in ogni celebrazione eucaristica. A Messa quindi non si va solo per pregare, ma per rivivere il Mistero Pasquale ed è come se tornassimo sul Calvario– si tratta infatti della stessa realtà – per partecipare con la fede a ciò che Cristo ha compiuto per la redenzione del mondo.

2. Il Triduo Pasquale inizia il Giovedì Santo nel pomeriggio/sera con la Messa in “Cena Domini”, memoria dell’Ultima Cena. In verità nella mattina si celebra già la Messa Crismale, che può essere anticipata per ragioni pastorali in uno dei giorni precedenti. A celebrarla è il Vescovo della diocesi insieme ai sacerdoti e i diaconi, suoi più stretti collaboratori, che attorniati dal Popolo di Dio rinnovano le promesse formulate il giorno della loro Ordinazione sacerdotale. E’ un momento commovente per il vescovo e per i sacerdoti perché mette in luce il dono sempre immeritato del sacerdozio ministeriale che il Signore ha lasciato alla sua Chiesa, la vigilia della sua morte in croce. Si sente la comunione stretta e permanente che nasce dall’ordinazione tra il vescovo e i sacerdoti ed è stimolo in questa vigilia della Passione per acquisire sempre nuova consapevolezza della ricchezza del sacramento dell’Eucaristia e del Sacerdozio. E inoltre si benedicono gli Olii per la celebrazione dei Sacramenti: l’Olio dei Catecumeni per coloro che si preparano al Battesimo, l’Olio degli Infermi per gli anziani e i malati e il Sacro Crisma con cui il vescovo o il sacerdote unge il battezzato, amministra il sacramento della Cresima, unge le mani del presbitero e la testa nella consacrazione del vescovo.

La sera del Giovedì Santo, entrando nel Triduo pasquale, rivivremo la Messa che si dice in Cena Domini, cioè la Messa dove si commemora l’Ultima Cena e quanto avvenne lì, in quel momento nel Cenacolo. È la sera in cui Cristo ha lasciato ai suoi discepoli il testamento del suo amore nell’Eucaristia, ma non come ricordo, bensì come memoriale e come sua presenza perenne. In questo Sacramento, Gesù ha sostituito la vittima sacrificale – l’agnello pasquale – con sé stesso: il suo Corpo e il suo Sangue ci liberano dalla schiavitù del peccato e della morte. E nella medesima sera ci consegnò il comandamento nuovo dell’amore che chiede di amarci facendoci servi gli uni degli altri, come ha fatto lui lavando i piedi dei discepoli. Un gesto che anticipa la sua morte in croce nel sacramento del pane e del vino mutati nel suo Corpo e nel suo Sangue. L’evangelista Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucaristia ma la lavanda dei piedi dei discepoli, il gesto con cui Egli, avendo amato i suoi, ha voluto esprimere il suo amore sino alla fine (cfr Gv 13,1). E’ il testamento dell’amore che lasciò ai discepoli come loro distintivo: crescere nell’umiltà del servizio e amando la gente concretamente sino a dare la vita per ciascuno di loro. Il gesto di lavare i piedi anticipa anche il dono del sacramento della riconciliazione o penitenza che consegnerà agli apostoli il giorno della risurrezione quando apparendo loro dirà: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete i peccati, non saranno perdonati”.
Finita la Messa in Cena Domini, la liturgia invita i fedeli a sostare in adorazione del Santissimo Sacramento, rivivendo l’agonia di Gesù nel Getsemani dove i discepoli hanno dormito, lasciandolo solo. Anche oggi spesso dormiamo, noi suoi discepoli e in questa notte sacra del Getzemani vogliamo impegnarci ad essere più vigilantie e così possiamo meglio comprendere il mistero del Giovedì Santo, che ingloba il triplice sommo dono del sacerdozio ministeriale, dell’Eucaristia e del Comandamento nuovo dell’amore fraterno che si esprime soprattutto nel perdono donato e ricevuto.

3. Il Venerdì Santo è giorno di penitenza, di digiuno e di preghiera. Una liturgia assai sobria ci raduna sul Calvario per commemorare la Passione e la Morte redentrice di Gesù Cristo attraverso i testi della Sacra Scrittura, in particolare la passione secondo san Giovanni e le preghiere liturgiche. Segue il rito dell’adorazione della Croce, meditando sul cammino dell’Agnello innocente immolato per la nostra salvezza. E’ il momento di recare nella preghiera le sofferenze dei malati, dei poveri, degli scartati di questa nostra società. Faremo memoria degli “agnelli immolati”, le vittime innocenti delle guerre, delle dittature, delle violenze quotidiane, degli aborti. Contemplando la Croce pregheremo per i tanti, troppi crocifissi di oggi, che solo da Gesù possono ricevere conforto e dare un senso al loro patire. Da quel primo Venerdì Santo il Cristo ha assunto su di sé le piaghe dell’umanità e il suo amore infinito ha irrigato i deserti, delle nostre esistenze e ha illuminato le tenebre dei nostri cuori. Sul Calvario Gesù si è immerso nel dolore del mondo e lo ha assunto su di sé liberandoci dal potere delle tenebre del male e della morte. Dalle sue piaghe siamo stati guariti (cfr 1 Pt2,24), afferma l’apostolo Pietro, dalla sua morte siamo stati rigenerati, tutti noi. E grazie a Lui, abbandonato sulla croce, mai più nessuno è solo nel buio della morte. Mai,perché Dio ci è sempre accanto: occorre però aprire aprire il cuore e lasciarsi guardare da Lui. La liturgia del Venerdì Santo si chiude in maniera semplice con la comunione, consumando le sacre specie conservate dalla Messa in Cena Domini del giorno precedente.
Interessante questo commento del Venerdì Santo, attribuito a san Giovanni Crisostomo: “Prima la croce significava disprezzo, ma oggi essa è cosa venerabile, prima era simbolo di condanna, oggi è speranza di salvezza. E’ diventata davvero sorgente d’infiniti beni; ci ha liberati dall’errore, ha diradato le nostre tenebre, ci ha riconciliati con Dio, da nemici di Dio ci ha fatti suoi familiari, da stranieri ci ha fatto suoi vicini: questa croce è la distruzione dell’inimicizia, la sorgente della pace, lo scrigno del nostro tesoro” (De cruce et latrone I,1,4). Sempre quest’oggi, la tradizione cristiana promuove molteplici manifestazioni di pietà popolare, fra le quali le note processioni del Venerdì Santo con i suggestivi riti che si ripetono ogni anno. Esiste inoltre il pio esercizio della “Via Crucis“, che ci offre durante tutto l’anno la possibilità di imprimere sempre più profondamente nel nostro animo il mistero della Croce e conformarci interiormente a Cristo. Scrive san Leone Magno che la Via Crucis ci educa a “guardare con gli occhi del cuore Gesù crocifisso, in modo da riconoscere nella sua carne la nostra propria carne” (Disc. 15 sulla passione del Signore). E sta proprio qui la vera saggezza del cristiano.

4.Il Sabato Santo è il giorno del silenzio: un grande silenzio cala su tutta la Terra; un silenzio vissuto nel pianto e nello smarrimento dai primi discepoli, sconvolti dalla morte di Gesù che mai avrebbero potuto immaginare. La Vita è nel sepolcro e coloro che avevano sperato in Gesù si sentono abbandonati, si sentono orfani, forse anche orfani di Dio. Questo sabato è anche il giorno di Maria che forse vive nel pianto, ma il suo cuore è pieno di fede, di speranza e d’amore. Era rimasta con suo figlio sempre fino ai piedi della croce, con l’anima trafitta. Ed ora che tutto è finito continua a vegliare con il cuore colmo di speranza perché custodisce nel suo animo la promessa che Dio risuscita i morti. Così, nell’ora più buia del mondo, Maria diventa Madre dei credenti, Madre della Chiesa e segno di speranza peer l’intera umanità. Sostenuti dalla sua intercessione troviamo la forza per continuare a portare il peso della croce, soprattutto quando diventa troppo duro per ognuno di noi.

5. La Veglia Pasquale. Nella notte tra il sabato e la domenica il velo di mestizia, che avvolge la Chiesa per la morte e la sepoltura del Signore, viene infranto dal grido della vittoria: Cristo è risorto! Ha sconfitto per sempre la morte! E con i riti della solenne della Veglia Pasquale la gioia e la luce illuminano le nostre assemblee che in coro innalzano il canto festoso dell’Alleluia. Sarà l’incontro nella fede con Cristo risorto e la gioia pasquale si prolungherà per tutti i cinquanta giorni che seguiranno, fino alla venuta dello Spirito Santo. Colui che era stato crocifisso è risorto! Tutte le domande e le incertezze, le esitazioni e le paure sono fugate dalla certezza che Cristo è risorto. Egli infatti ci dà la sicurezza che il bene alla fine trionfa sempre sul male, che la vita vince la morte e la nostra fine non è scendere sempre più in basso di tristezza in tristezza, ma salire con fiducia verso l’alto. Il Risorto è la conferma che Gesù ha ragione in tutto: nel prometterci la vita oltre la morte e il perdono oltre i peccati anche se i discepoli, poiché dubitavano, hanno fatto fatica a credergli. La prima a credere e a vedere è stata Maria Maddalena, l’apostola della resurrezione inviata a diffondere questa bella notizia ai discepoli che poi hanno visto anche loro il Signore. E le guardie, i soldati, che erano nel sepolcro lo hanno visto? Non lo sappiamo, ma sicuramente ne hanno preso atto ed è rimasto in loro il mistero di questo mistero. Esistono al riguardo diverse versioni nei vangeli apocrifi e negli scritti di alcuni mistici fin dai primi secoli del cristianesimo. Una cosa è però certa: da quel momento non è più importante cercare di vedere Gesù con gli occhi, ma incontrarlo con il cuore fidandosi della sua parola. Nel cenacolo si era congedato dagli apostoli con queste parole: “Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” Gv 16,33). 
Auguro a tutti di vivere con fede il Triduo Santo 2024!
(fonte: Faro di Roma 27/03/2024)

Papa Francesco «Alla radice della pazienza c’è l’amore... Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti» Papa Francesco Udienza Generale 27/03/2024 (foto, testo e video)

UDIENZA GENERALE

Aula Paolo VI
Mercoledì, 27 marzo 2024


“Oggi l’udienza era prevista in piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro. È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno sarete non bagnati! Grazie della vostra pazienza”. Con queste parole il Papa ha spiegato ai fedeli il motivo per cui oggi l’udienza generale si è tenuta in Aula Paolo VI, invece che in piazza San Pietro. 
Papa Francesco è arrivato in Aula a piedi, camminando con l’aiuto di un bastone, e ha letto per intero la catechesi preparata per l’appuntamento di oggi, aggiungendo anche una testimonianza a braccio.














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Il testo qui di seguito include anche parti non lette che sono date ugualmente come pronunciate.

Catechesi. I vizi e le virtù. 13. La pazienza


Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Oggi l’udienza era prevista in Piazza, ma per la pioggia è stata trasferita qui dentro. È vero che sarete un po’ ammucchiati, ma almeno saremo non bagnati! Grazie della vostra pazienza.

Domenica scorsa abbiamo ascoltato il racconto della Passione del Signore. Alle sofferenze che subisce, Gesù risponde con una virtù che, pur non contemplata tra quelle tradizionali, è tanto importante: la virtù della pazienza. Essa riguarda la sopportazione di ciò che si patisce: non a caso pazienza ha la stessa radice di passione. E proprio nella Passione emerge la pazienza di Cristo, che con mitezza e mansuetudine accetta di essere arrestato, schiaffeggiato e condannato ingiustamente; davanti a Pilato non recrimina; sopporta gli insulti, gli sputi e la flagellazione dei soldati; porta il peso della croce; perdona chi lo inchioda al legno e sulla croce non risponde alle provocazioni, ma offre misericordia. Questa è la pazienza di Gesù. Tutto questo ci dice che la pazienza di Gesù non consiste in una stoica resistenza nel soffrire, ma è il frutto di un amore più grande.

L’Apostolo Paolo, nel cosiddetto “Inno alla carità” (cfr 1 Cor 13,4-7), congiunge strettamente amore e pazienza. Infatti, nel descrivere la prima qualità della carità, utilizza una parola che si traduce con “magnanima”, “paziente”. La carità è magnanima, è paziente. Essa esprime un concetto sorprendente, che torna spesso nella Bibbia: Dio, di fronte alla nostra infedeltà, si mostra «lento all’ira» (cfr Es 34,6; cfr Nm 14,18): anziché sfogare il proprio disgusto per il male e il peccato dell’uomo, si rivela più grande, pronto ogni volta a ricominciare da capo con infinita pazienza. Questo per Paolo è il primo tratto dell’amore di Dio, che davanti al peccato propone il perdono. Ma non solo: è il primo tratto di ogni grande amore, che sa rispondere al male col bene, che non si chiude nella rabbia e nello sconforto, ma persevera e rilancia. La pazienza che ricomincia. Dunque, alla radice della pazienza c’è l’amore, come dice Sant’Agostino: «Uno è tanto più forte a sopportare qualunque male, quanto in lui è maggiore l’amore di Dio» (De patientia, XVII).

Si potrebbe allora dire che non c’è migliore testimonianza dell’amore di Gesù che incontrare un cristiano paziente. Ma pensiamo anche a quante mamme e papà, lavoratori, medici e infermieri, ammalati che ogni giorno, nel nascondimento, abbelliscono il mondo con una santa pazienza! Come afferma la Scrittura, «è meglio la pazienza che la forza di un eroe» (Pr 16,32). Tuttavia, dobbiamo essere onesti: siamo spesso carenti di pazienza. Nel quotidiano siamo impazienti, tutti. Ne abbiamo bisogno come della “vitamina essenziale” per andare avanti, ma ci viene istintivo spazientirci e rispondere al male col male: è difficile stare calmi, controllare l’istinto, trattenere brutte risposte, disinnescare litigi e conflitti in famiglia, al lavoro o nella comunità cristiana. Subito viene la risposta, non siamo capaci di essere pazienti.

Ricordiamo però che la pazienza non è solo una necessità, è una chiamata: se Cristo è paziente, il cristiano è chiamato a essere paziente. E ciò chiede di andare controcorrente rispetto alla mentalità oggi diffusa, in cui dominano la fretta e il “tutto subito”; dove, anziché attendere che maturino le situazioni, si spremono le persone, pretendendo che cambino all’istante. Non dimentichiamo che la fretta e l’impazienza sono nemiche della vita spirituale. Perché? Dio è amore, e chi ama non si stanca, non è irascibile, non dà ultimatum, Dio è paziente, Dio sa attendere. Pensiamo al racconto del Padre misericordioso, che aspetta il figlio andato via di casa: soffre con pazienza, impaziente solo di abbracciarlo appena lo vede tornare (cfr Lc 15,21); o pensiamo alla parabola del grano e della zizzania, con il Signore che non ha fretta di sradicare il male prima del tempo, perché nulla vada perduto (cfr Mt 13,29-30). La pazienza ci fa salvare tutto.

Ma, fratelli e sorelle, come si fa ad accrescere la pazienza? Essendo, come insegna San Paolo, un frutto dello Spirito Santo (cfr Gal 5,22), va chiesta proprio allo Spirito di Cristo. Lui ci dà la forza mite della pazienza – è una forza mite la pazienza –, perché «è proprio della virtù cristiana non solo operare il bene, ma anche saper sopportare i mali» (S. Agostino, Discorsi, 46,13). Specialmente in questi giorni ci farà bene contemplare il Crocifisso per assimilarne la pazienza. Un bell’esercizio è anche quello di portare a Lui le persone più fastidiose, domandando la grazia di mettere in pratica nei loro riguardi quell’opera di misericordia tanto nota quanto disattesa: sopportare pazientemente le persone moleste. E non è facile. Pensiamo se noi facciamo questo: sopportare pazientemente le persone moleste. Si comincia dal chiedere di guardarle con compassione, con lo sguardo di Dio, sapendo distinguere i loro volti dai loro sbagli. Noi abbiamo l’abitudine di catalogare le persone con gli sbagli che fanno. No, non è buono questo. Cerchiamo le persone per i loro volti, per il loro cuore e non per gli sbagli!

Infine, per coltivare la pazienza, virtù che dà respiro alla vita, è bene ampliare lo sguardo. Ad esempio, non restringendo il campo del mondo ai nostri guai, come invita a fare l’Imitazione di Cristo: «Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole», ricordando che «non c’è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa presso Dio» (III, 19). E ancora, quando ci sentiamo nella morsa della prova, come insegna Giobbe, è bene aprirsi con speranza alla novità di Dio, nella ferma fiducia che Egli non lascia deluse le nostre attese. Pazienza è saper sopportare i mali.

E qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà: uno israeliano e uno arabo. Ambedue hanno perso le loro figlie in questa guerra e ambedue sono amici. Non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione. Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa. Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza!

Guarda il video della catechesi

Saluti

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* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana: parrocchie, associazioni e scuole, in particolare agli alunni dell’Istituto Marconi di Gorgonzola e a quelli dell’Istituto Carlo Alberto Dalla Chiesa di Afragola.

Nell’intenso clima spirituale della Settimana Santa, saluto con affetto i giovani, i malati, gli anziani e gli sposi novelli. Invito ciascuno a vivere questi giorni nella preghiera, per aprirsi alla grazia di Cristo Redentore, fonte di gioia e di misericordia.

Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace. Che il Signore ci dia la pace nella martoriata Ucraina, che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti; anche in Israele e Palestina, che ci sia la pace nella Terra Santa. Che il Signore dia la pace a tutti, come dono della sua Pasqua!

A tutti la mia Benedizione.
Guarda il video integrale


mercoledì 27 marzo 2024

Terra Santa, il Papa abbraccia i padri di due bimbe uccise in guerra: amici uniti dalla croce


Terra Santa, il Papa abbraccia i padri di due bimbe uccise in guerra: amici uniti dalla croce

All'udienza generale Francesco ricorda la storia di Bassam Aramin e Rami Elhanan, uno israeliano e uno arabo, a cui sono state uccise le figlie di 10 e 13 anni. Dopo il dramma, si sono uniti e portano avanti un percorso di riconciliazione. Il Pontefice: "Loro non guardano all’inimicizia della guerra, ma l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che sono passati per la stessa crocifissione". Appello per il Medio Oriente e la martoriata Ucraina che soffre

Il Papa saluta Bassam e Rami prima dell'udienza generale

La loro storia, la loro stessa presenza, uno a fianco all’altro, è la testimonianza tangibile che non tutto è perduto e che c’è una luce a sovrastare il “buio” che attanaglia quest’ora del mondo. Bassam Aramin e Rami Elhanan, uno israeliano e l’altro arabo, sono “due persone, due papà” accomunati dal dolore più grande per un genitore: perdere il proprio figlio. Bassam ha visto morire la sua Abir a 10 anni a causa di un proiettile di gomma sparato da un soldato israeliano; Rami ha perso la sua Smadar, 13 anni, in un attacco suicida palestinese. Due tragedie speculari, espressione di quella violenza che attanaglia la Terra Santa; dopo di queste i due uomini si sono incontrati e hanno seminato il loro dolore nel terreno buono della speranza per far crescere dal male subito frutti di bene e di riconciliazione.

Il saluto del Papa

Oggi Bassam e Rami erano presenti in Aula Paolo VI all’udienza generale del mercoledì, seduti vicini e accompagnati dal direttore della Libreria Editrice Vaticana (LEV), Lorenzo Fazzini. Francesco li ha ricevuti in mattinata, prima dell'udienza, nell'Auletta: un saluto, un abbraccio, uno scambio di doni. Poi li ha salutati nuovamente durante il baciamano, ma prima, a conclusione della catechesi, ha voluto richiamare l'attenzione del mondo sulla loro storia: “Qui oggi, in questa udienza, ci sono due persone, due papà. Sono i primi: uno israeliano e uno arabo”, ha detto.

Ambedue hanno perso le loro figlie in questa guerra e ambedue sono amici; non guardano all’inimicizia della guerra, ma guardano l’amicizia di due uomini che si vogliono bene e che hanno passato per la stessa crocifissione

"Grazie per la vostra testimonianza"

Bassam e Rami sono oggi i volti più noti della Parents Circle Families Forum, organizzazione di base di famiglie palestinesi e israeliane che hanno perso i propri familiari a causa del conflitto in Terra Santa e che sono animati dal desiderio di una pace duratura. La loro storia è raccontata interamente nel libro pluri premiato dello scrittore irlandese Colum McCann, Apeirogon, che prende il nome da un poligono dal numero infinito di lati. Come infinite sono le sfumature di queste testimonianze e del contesto difficile in cui esse sono maturate. Francesco esorta i fedeli a riflettere sulla storia di questi due papà e a guardarla come faro in questi tempi feriti, esprimendo al contempo la sua personale gratitudine.

Pensiamo a questa testimonianza tanto bella di queste due persone che hanno sofferto nelle loro figlie la guerra della Terra Santa. Cari fratelli, grazie per la vostra testimonianza
Appello per Ucraina e Medio Oriente

Non manca nelle parole del Papa, durante i saluti ai fedeli di lingua araba, anche un ricordo delle “vittime innocenti delle guerre” e la preghiera che “Cristo con la sua Resurrezione conceda la pace e la consolazione”. Appello che prende la forma di una supplica urgente nel saluto agli italiani: “Fratelli e sorelle, preghiamo per la pace!”

Che il Signore ci dia la pace nella martoriata Ucraina che sta soffrendo tanto sotto i bombardamenti. Anche in Israele e Palestina, che ci sia la pace in Terra Santa. Che il Signore ci dia la pace a tutti come dono della sua Pasqua
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 27/03/2024)



2024 - LA SETTIMANA SANTA AL CARMINE - Orari e canti

LA SETTIMANA SANTA AL CARMINE


Barcellona Pozzo di Gotto




GIOVEDÌ SANTO

Preghiera del Mattino:                    h. 7.30  (in chiesa)

Preghiera di Mezzogiorno:            h. 12.00 (in chiesa)

Messa della Cena del Signore:  h. 18.00 (in chiesa)

Adorazione eucaristica:                h. 22.00 (in chiesa)



VENERDÌ SANTO

Preghiera del Mattino:                               h. 7.30 (in chiesa)

Preghiera di Mezzogiorno:                       h. 12.00 (in chiesa)

Liturgia della Croce:                                h. 15.30 (in chiesa)

Lectio divina sulle letture della Pasqua: h. 19.00 (in cappella)



SABATO SANTO

Preghiera del Mattino:          h. 7.30 (in chiesa)

Preghiera di Mezzogiorno:  h. 12.00 (in chiesa)

Preghiera della Sera:           h. 18.30 (in chiesa)

Veglia Pasquale:                h. 22.30 (in chiesa)


A partire dal 31 marzo - Domenica di Pasqua:

la Messa della Domenica sera sarà celebrata alle h. 19.00



FOGLIO DEI CANTI

CANTI GIOVEDÌ SANTO (pdf)

- CANTI VENERDÌ SANTO (pdf)

- CANTI NOTTE DI PASQUA  (pdf)

- CANTI PASQUA (pdf)




S. MESSE NEI MERCOLEDÌ SOLENNI
DA PASQUA A PENTECOSTE


Mattino:         h. 7.30
Pomeriggio: h. 17.00
                     h. 19.00

Autonomia differenziata - Conferenza Episcopale Calabra: “La dis-unità nazionale e le preoccupazioni delle Chiese di Calabria: Spunti di riflessione”

Autonomia differenziata,
ecco il documento dei vescovi calabresi

“La dis-unità nazionale e le preoccupazioni delle Chiese di Calabria:
Spunti di riflessione”


La Conferenza Episcopale Calabra ha pubblicato il 25 marzo un documento dal titolo: “La dis-unità nazionale e le preoccupazioni delle Chiese di Calabria: Spunti di riflessione”, nel quale esprime profonde preoccupazioni riguardo all’attuale dibattito sull’autonomia differenziata (scarica il documento). I vescovi calabresi evidenziano come tale progetto, se portato a compimento, «darà forma istituzionale agli egoismi territoriali della parte più ricca del Paese, amplificando e cristallizzando i divari territoriali già esistenti, con gravissimo danno per le persone più vulnerabili e indifese». Questa posizione scaturisce dalla preoccupazione che l’accentuarsi del divario Nord-Sud possa ledere la coesione sociale e il benessere collettivo della nazione.

In contrapposizione a queste tendenze, i vescovi propongono una visione di crescita armonica per l’intero territorio nazionale. Sottolineano che «La strada da percorrere è invece quella che passa dal riconoscimento delle differenze e dalla valorizzazione di ogni realtà particolare, soprattutto delle aree più periferiche e/o interne». Questo approccio richiama l’importanza di una politica inclusiva che promuova equità e solidarietà tra le diverse regioni del Paese.

Il documento fa anche appello al principio di sussidarietà, citando Papa Francesco i vescovi ricordano che: «Il principio di sussidarietà, infatti, “ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto”. Questo principio è visto come una via per “dare speranza in un futuro più sano e giusto; e questo futuro lo costruiamo insieme, aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisi, a tutti i livelli della società, o non ne usciremo mai».

Infine, i pastori delle Chiese di Calabria rivolgono un invito alle comunità ecclesiali a non restare indifferenti di fronte alle sfide poste dalla legge sulle Autonomie differenziate, incoraggiando l’organizzazione di occasioni di approfondimento e pubblica discussione. «Non possiamo restare indifferenti, affermano i vescovi, bisogna trovare vie perché si maturi la consapevolezza che il Paese avrà un futuro solo se tutti insieme sapremo tessere e ritessere intenzionalmente legami di solidarietà, a tutti i livelli».

La Conferenza Episcopale Calabra invita dunque a una riflessione collettiva sull’importanza di costruire una società più giusta e coesa, sottolineando la necessità di promuovere forme di mobilitazione democratica che legano solidarietà e giustizia.



martedì 26 marzo 2024

La Parola di Dio fra i cartoni, il cammino pasquale dei poveri a San Pietro

La Parola di Dio fra i cartoni,
il cammino pasquale dei poveri a San Pietro

Un momento penitenziale in vista della Pasqua è organizzato per i senzatetto che vivono nella zona del Vaticano intorno al Colonnato. Anima dell’iniziativa sono le suore clarettiane che da tempo si dedicano alla loro cura materiale e spirituale. Tante le storie di rinascita dopo l’incontro con la Parola di Dio

Momenti della Lectio Divina con i poveri a San Pietro. 
Nella foto un piccolo altare sistemato sulle valigie dei più indigenti. 

Anche tra giacigli di fortuna, tra i cartoni rimediati e la sporcizia che di notte si scorgono in piazza San Pietro, arriva la forza della Risurrezione di Gesù, il suo messaggio di pace e di speranza che non esclude nessuno ma anzi rinforza e ravviva i cuori più addolorati. È una missione che le suore clarettiane compiono sotto i Propilei, animate dal carisma impresso dal fondatore Antonio Maria Claret centrato sulla passione per l’evangelizzazione e l’audacia missionaria. Qui stasera, martedì 26 marzo, si terrà un momento penitenziale con i poveri in vista della Pasqua.

La preghiera sotto il Colonnato di San Pietro

Un percorso che arriva alla preghiera comune

Per giungere all’iniziativa di oggi è necessario fare un passo indietro. A raccontarlo suor Elaine Lombardi, delle Missionarie di Sant’Antonio Maria Claret, che ricorda come anni fa nella parrocchia romana di Torresina, dedicata a Santa Faustina Kowalska della Divina Misericordia, alcuni giovani avevano iniziato un percorso importante a partire dalla Lectio Divina e poi culminato con il desiderio forte di aiutare gli altri, in particolare i più indigenti. L’esperienza inizia con un thè e qualche biscotto offerto, “non era tanto quello che donavamo - spiega la religiosa brasiliana - ma era la presenza a fare la differenza”. La pandemia blocca ogni attività, on line il gruppo di giovani che partecipavano alla Lectio Divina si allarga fino a 100 presenze, al contempo cresce il bisogno di offrire ai poveri più di un the e allora si mette a punto la possibilità di una cena. Il giorno scelto è il martedì, viene portato il cibo per circa 200 persone. Cibo ma anche preghiera perché è questo il bisogno che i volontari e le suore sentono crescere: portare la Parola di Vita ai più fragili. “Abbiamo iniziato sotto il Colonnato con la novena di Natale - racconta suor Elaine - a conclusione molti poveri che li vivono ci hanno chiesto di continuare ed è nato il progetto della Lectio Divina con i senzatetto una volta al mese. Condividiamo la Parola di Dio che in realtà si trasforma in condivisione della propria vita, il bello è che anche molti turisti si fermano e pregano con noi”.

Incontro, preghiera e relazione tra le suore clarettiane e i poveri di san Pietro

Parole semplici

In avvicinamento alla Pasqua la scelta è stata quella di preparare, spiega suor Elaine, dei momenti più intensi e intimi, una preghiera penitenziale. “Partiamo sempre dalla Parola di Dio a seguire un momento di preghiera. Solitamente abbiamo cura di non usare troppo parole, la scelta è quella di percorrere la strada della semplicità perché molte persone senzatetto che partecipano sono stranieri, alcuni non conoscono bene l’italiano”. L’arrivo di questo momento penitenziale è la richiesta di perdono per i propri peccati. “La risposta dei poveri - aggiunge - è sempre molto positiva, in tanti vengono da noi per dirci che sono momenti che fanno bene, che li fanno sentire umani. Sono momenti in cui possono condividere la vita con chi non conoscono, possono sentirsi importanti, sentirsi liberi di parlare. È una bellissima risposta”.

Numerosi i volontari che partecipano alla Lectio Divina con i poveri il martedì

“Non so leggere la Bibbia…”

“Ci sono storie molto belle che abbiamo raccolto”: racconta con emozione suor Eliane. “Uno di loro, Francesco, che ha una storia di vita particolare e che vive in strada, ha iniziato a partecipare alla Lectio Divina ed era in depressione per le difficoltà che affrontava ogni giorno. Una volta, al termine della preghiera, si è avvicinato per chiedermi una Bibbia e io gli ho regalato quella che avevo in mano e che avevamo usato per la Lectio, era sistemata sul piccolo altare che facciamo con una delle valigie dei poveri e i paramenti che portiamo. Lui l’ha presa ma poi la settimana successiva mi è venuto a parlare per dirmi che non sapeva leggere”. Francesco trova una persona che lo considera, lo ascolta e con cui entra in relazione per questo non esita a dire alla suora che i momenti di preghiera vissuti e la Parola di Dio hanno fatto crescere in lui il desiderio di conoscere il Vangelo e quindi di imparare a leggere. “Ci siamo subito attivate e abbiamo cercato un posto dove lui potesse coltivare questo suo desiderio. Credo che questo sia molto molto bello e mi ha toccato profondamente”. La missionaria clarettiana racconta poi di aver ascoltato tante altre storie di sofferenza di vita che alcuni coraggiosamente raccontano, spiegando il perché sono per strada ma anche quanto la Parola di Dio li aiuti nella quotidianità. Altro momento importante per suor Elaine è stato l’incontro con il Papa, il 24 luglio 2023, nel quale Francesco ha ribadito che “la Chiesa e il mondo di oggi hanno urgente bisogno della testimonianza fedele e coraggiosa delle vite consacrate”. Parole, spiega la religiosa, che hanno motivato tutte a continuare in questo cammino di incontro intorno alla Parola di Dio.

(fonte: Vatican News, articolo di Benedetta Capelli 26/03/2024)